Come  la neve questo inverno, da anni non si vedeva un campionato così.  Incerto. Pazzo. Avvincente. Le quote delle scommesse cambiano ogni  settimana. Per lo scudetto sono ancora tutte da rifare, altro che duello  Milan-Inter. Il Napoli è la novità costante: da oggi che cosa può o deve aspettarsi?
Sembra tutto normale, invece la partita di ieri è da ricordare. Se la  classifica eccita i tifosi, la dodicesima vittoria in 21 gare rischia di  essere sottovalutata. Perché il Bari è sembrato un cantiere dismesso, già ultimo in classifica, con l'allenatore Ventura pietrificato  da 13 sconfitte e incapace di riorganizzare la squadra. Niente di più  falso. I tre punti sono stati agilmente raccolti perché il Napoli ha  mostrato nella domenica dei tranelli il meglio di sé. Maturità, astuzia,  capacità di attesa, dominio del gioco. È la vittoria di una squadra che  stende l'avversario con i suoi colpi migliori, ma li sferra senza  affanno, con il lucido cinismo della sua superiorità. Come veder  crescere i figli. I genitori sono gli ultimi a scoprirlo. Neanche i  tifosi più attenti hanno forse colto i segnali di una maturità  progressiva e quasi compiuta. Li hanno offerti proprio le due partite  più banali, le due vittorie più comode, le ultime due. In Coppa Italia  il Napoli ha schierato 10 su 11 assenti nella formazione iniziale della  partita con la Fiorentina.  Il Napoli che sbandava al primo cenno di turnover martedì sembrava nei  ritmi e nei meccanismi la prima squadra. Una fisionomia per nulla  alterata. È un pregio tecnico interessante. A Bari ha trovato poi una  squadra difficile da battere per la sua eccentrica ed isterica  concezione del calcio: non cerca punti, ma gloria. Non ha sostanza, ma  vanità. Gioca ogni partita per convertirla in una impresa storia. Nel  Bari visto ieri non c'è niente di normale per una squadra in lotta per  la salvezza. Schiera due strane coppie di esterni: Raggi e Andrea Masiello (due terzini uno dietro l'altro) a destra, il fumoso Parisi e un insidioso Alvarez a sinistra. Il Napoli risponde al primo tandem con Zuniga, il solito giulivo ballerino, affiancato a turno da Cavani e Lavezzi. Sulla fascia destra, il Napoli oppone Maggio ormai rifiorito e assistito da Hamsik ben disposto alla fatica oscura sul centrodestra. Difensori modesti (Alvares  unica eccezione su 4) battono contro giocatori di buon contrasto ma con  migliore tecnica. È qui che il Bari pensava di vincere la partita, e  qui invece l'ha persa. Al centro, Pulzetti e Gazzi contro il collaudato Pazienza e il sempre più indisciplinato Gargano. Ventura ha lasciato fuori i più affidabili Rivas sulla fascia e Almiron al centro. Non si sa perché, se sono apparsi con dignità nella ripresa.
La buona tecnica ha favorito il Napoli nel controllo degli spazi e del  ritmo basso. Ecco perché non ha mai brillato, ma non ha mai perso il  dominio del gioco. Una quieta vittoria da grande squadra. Ed ora? Mazzarri convince adesso, ha superato quella crisi di identità lo portò ad azzardare confronti con Mourinho  ed altri. Evita di citarsi, di ricordare le sue virtù come premessa di  ogni risposta. È felicemente rientrato nel personaggio che gli si  addice: umiltà, un filo di simpatia, rara applicazione nel dirigere gli  allenamenti. La plateale severità di Mazzarri dopo la giusta  sostituzione di Gargano brucia come un colpo di frusta: lo aiuterà. È  utile finché corre. È dannoso se parla troppo nello spogliatoio, se si  sente leader del gruppo di sudamericani quindi di tutto il Napoli, se  accumula multe per puerili ritardi anche nel rientrare in campo. Ma  Gargano chi crede di essere e che pensa di fare da grande? Mercoledì  l'Inter per la Coppa Italia al San Paolo. Una partita secca per le  semifinali, vittoria o addio. Ma il tema ormai è un altro: il  campionato. Così pazzo da spingere il Napoli a indovinare ricambi di  qualità per non avere rimorsi alle fine. Ha per ora un secondo posto da  difendere. Lodevole il silenzio sullo scudetto: parlarne è il modo  migliore per non vincere.

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