Il ds azzurro Riccardo Bigon ha rilasciato un'intervista al Corriere dello Sport.
Bigon, se l'aspettava?
«Domanda, eventualmente, da rifare a marzo, aprile. Perché dopo due
giornate di campionato e una di Champions, non azzardo valutazioni né
entusiastiche né pessimistiche. Troppo presto».
Giriamo al largo: pensava mai che questo Napoli fosse così autorevole?
«Avevamo ben chiare le attitudini caratteriali e le caratteristiche
tecniche del gruppo, sapevamo dello spessore dei ragazzi: però è vero
che prestazioni come Manchester e come quella con i campioni d'Italia
del Milan danno soddisfazione e aiutano la crescita».
Come è nata questa squadra da scudetto?
«Bel trappolone, questo: da scudetto lo dice lei....».
Veramente lo dicono Lippi, Zoff, Mauro, Damiani, Altafini, il calcio intero (quasi)...
«Mi limito a sottolineare com'è nato questo Napoli, ch'è figlio d'un
lavoro d'equipe. E' il Napoli d'una società che si confronta, che
analizza, che rispetta i ruoli. E' il Napoli d'un presidente ambizioso,
che ci lascia carta bianca: non c'è, in questa squadra, un calciatore
che non fosse stato scelto da me o da Mazzarri».
Il colpo più complicato?
«Il più estenuante, ed è noto: Inler. Ma in lui c'è sempre stata la
volontà precisa di aderire alla nostra idea. Il suo entusiasmo non è
mai mancato. E' evidente che in fase di trattativa possano sorgere
problemi, ma sono stati risolti».
Il colpo più semplice?
«Pandev, senza ombra di dubbio. Un minuto di colloquio: ti piacerebbe?
Sì. Poi De Laurentiis ha telefonato al presidente dell'Inter, Moratti,
ed abbiamo chiuso».
Il rimpianto?
«Nessuno, perché abbiamo centrato gli obiettivi. Con Criscito è andata
così, ma sono fatalista e penso che il destino abbia voluto separarci:
ne abbiamo preso atto, ma non c'è malanimo».
Eravate su Vidal...
«Non scendo nei particolari delle trattative, perché mi sembrerebbe
inelegante. In termini generali, abbiamo lasciato perdere ogni
colloquio con calciatori che sembravano perplessi dinnanzi al nostro
interessamento. A quel punto, abbiamo virato».
L'impressione generale, a giugno, sosteneva l'ipotesi che uno dei tre tenori potesse partire.
«E alla distanza la verità è stata un'altra: i gioielli sono rimasti
qua. Anche perché la loro volontà era precisa: continuare in questo
Napoli, divenuto sempre più intrigante. La loro è stata una scelta
precisa, che ha provveduto a tener lontani insieme alle dichiarazioni
di incedibilità del presidente - eventuali corteggiatori».
Ora si può (riba)dire: Manchester City e Zenit San Pietroburgo s'erano spinte oltre per Lavezzi?
«No comment. Per me vale la realtà che viviamo, non quella che si può
intuire o dedurre. E poi il mercato è questo. Ma nel Napoli ci sono
ancora Cavani, il Pocho ed Hamsik, uomini che hanno espresso il
desiderio di rimanere al centro d'un progetto d'un club credibile e
carico di aspirazioni».
Quanto incide, ovviamente in positivo, il rapporto talmente solido, fraterno, tra lei e Mazzarri?
«Una premessa mi sembra doverosa: mi stupisco che in questo mondo, e
intendo il calcio, ci si stupisca d'un rispetto reciproco e di una
sintonia assoluta tra due figure così rilevanti all'interno d'una
società. Con Mazzarri abbiamo un'intesa che si è consolidata negli anni,
frequentandoci assiduamente ed avendo una visione del lavoro simile,
identica. Ma anche con altri tecnici sono andato d'accordo. E' il mio
modo di essere».
Torniamo alla costruzione del Napoli, all'estate, a certe esigenze sorte in corso: si rompe Britos...
«Ed in tre giorni abbiamo dovuto integrare l'organico. La bontà
dell'organizzazione ha consentito di individuare in Fideleff il
giovane su cui puntare. Vedere centinaia di partite, fare migliaia di
chilometri, avere un quadro ampio, internazionale delle risorse è stato
decisivo e di ciò devo dare atto a Micheli, a Mantovani, a Zunino, il
nostro gruppo di lavoro scouting».
Volevate Juan....
«Ma con il Brasile è più complesso definire una trattativa e tre giorni
non sarebbero bastati. Vero che Juan è di grandi prospettive, un ‘91 di
gran livello; ma Fideleff ha solo due anni in più ed ha già giocato».
L'addio a Victor Ruiz ha lasciato perplessi...
«Un affare economico, certo. E poi una valutazione complessiva: Ruiz è
calciatore di indubbio valore, tant'è vero che è titolare nel Valencia,
che finirà per trovar posto tra i convocati della nazionale spagnola;
però va anche detto che talvolta le caretteristiche di un calciatore
possano non sposarsi con quelle di un club o persino di un Paese. Lui
per noi rimane di enormi prospettive, però forse è la Spagna si adatta
di più alla sua indole».
E, come spesso accade, avete virato di nuovo in Sud America...
«La mentalità degli argentini in particolare ha enormi affinità con il
modo di pensare napoletano; ma anche uruguagi e comunque sudamericani
in genere. Un calciatore del Nord Europa si ambienta con difficoltà
maggiori».
Ha vinto uno scudetto da bambino e uno da adulto...
«Avevo otto anni quando mio padre, Albertino, conquistò la stella con il
Milan; ne avevo qualcuno in più quando trionfò sulla panchina del
Napoli. Ma so che c'è un altro tranello: io penso al Chievo, alle
difficoltà che può creare un avversario che ci ha battuti due volte su
due, l'anno scorso. Non so cosa accadrà al Bentegodi e lei vuol farmi
sbilanciare sull'esito del campionato?».
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