C’è chi dice no, esattamente come cantava Vasco Rossi. A volte è il presidente De Laurentiis, a volte sono i giocatori napoletani che non impazziscono dalla voglia di fare ritorno a casa. Fatto sta, che le trattative tra il Napoli e gli «scugnizzi» del pallone si sono sempre rivelate difficili e ricche di colpi di scena. Quello di Mimmo Criscito è solo l’ultimo caso di una lunga serie di matrimoni promessi e non consumati. È accaduto anche con Pasquale Foggia, nella sessione invernale del mercato 2011, con Totò Di Natale e Antonio Nocerino, appena un paio di stagioni fa, con Marco Borriello, nell’anno del ritorno in A, con Bocchetti e Lodi, quando gli azzurri erano in serie B, con Fabio Cannavaro, praticamente ogni estate.
Controtendenza - Per suo fratello Paolo, invece, le cose sono andate diversamente. «Lui è il nostro capitano, un ragazzo esemplare al quale auguro un futuro da dirigente nel Napoli», ha detto De Laurentiis appena un paio di giorni fa. Parole che sono come musica per il difensore della Loggetta, la cui storia va in assoluta controtendenza rispetto a quella degli altri «scugnizzi» del nostro campionato. Nel 2006, con gli azzurri ancora in serie B, Paolo si svincola dal Parma e non ci pensa due volte a firmare con il Napoli. Rinuncia ai diritti d’immagine, rinuncia a numerose offerte dalla massima serie e decide di sposare un progetto che, allora, era ancora in embrione. Firma per cinque anni, a dimostrazione che vuole tornare nella sua città per restarci a lungo. Si piazza al centro della difesa, che diventa la meno battuta di quel campionato addirittura davanti alla Juventus di Gigi Buffon. La stagione successiva è tra i «titolarissimi» della squadra che, con Reja in panchina, centra l’Intertoto, poi arriva la deludente gestione Donadoni e l’idillio con la piazza si interrompe.
La risalita - Con Mazzarri, Cannavaro torna grande e risale anche nella hit parade dei tifosi. Oggi è un idolo incontrastato. Eppure, quando la scorsa estate doveva rinnovare il contratto, De Laurentiis non fu tenero: «Se vuole andare a Dubai dal fratello, lo accompagno io». Paolo rispose per le rime, poi tornò immediatamente il sereno. Le parti si vengono incontro, il capitano fa, ancora una volta, un sacrificio per la maglia azzurra. Altri quattro anni (più l’opzione per il quinto) per diventare quello che ha sempre sognato di essere: una bandiera. «Vorrei essere come Totti per la Roma o Maldini per il Milan», disse tempo fa. È a un passo dalle 200 presenze (170 in campionato, 195 totali), ha messo nel mirino Ciro Ferrara (247), Antonio Iuliano (355) e Giuseppe Bruscolotti (387). Scugnizzi, capitani e bandiere: si può. Per fortuna, non sempre c’è chi dice no.
Gianluca Monti
La Gazzetta dello Sport Napoli & Campania
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