«E così gli inglesi imparano. Imparano che a trattarci sempre con
superiorità e arroganza alla fine si viene puniti». Lo sberleffo ultimo a
quei gradassi dei club milionari britannici, la pennellata decisiva, lo
firma Giovanni Trapattoni, dal 2008 sulla sponda irlandese della
«perfida» Albione come ct dell’Eire. «Lo ammetto, per noi che alleniamo
da quelle parti, aver visto il Napoli battere il Chelsea con tanta
personalità e classe è motivo di grande orgoglio. È stata la riscossa
dell’Italia e del suo calcio». L’inossidabile uomo dei dieci scudetti
con cinque squadre (Juve, Inter, Bayern, Benfica, Salisburgo),
globetrotter vincente in Italia, Germania, Portogallo, Austria e adesso a
Dublino, ride e racconta.
A Londra dicono che il Chelsea ha perso per colpa di Villas-Boas.
«Sono i soliti presuntuosi. Non riconoscono mai i meriti degli altri. Il
Napoli ha dominato, ha dato una lezione di calcio al Chelsea, Mazzarri
ha dimostrato di essere un tecnico di spessore internazionale: altro che
suicidio degli inglesi, la gara è stato un trionfo tattico di Walter».
Che è poi l’apoteosi del classico gioco all’italiana?
«Dice? Non sono d’accordo. Ormai tutti si difendono e appena possono
ripartono in contropiede, lo fanno tutte le big d’Europa. Gli interpreti
in campo sono quelli che firmano la differenza. E poi anche il Milan
con l’Arsenal mi pare abbia fatto così. Sono luoghi comuni. Come quelli
che dicevano che il Trap era un difensivista: tutto falso, i miei
terzini hanno segnato sempre più di tutti e ai miei tempi, con la
Juventus, bastonare le squadre inglesi era all’ordine del giorno».
Lei ha vinto qualsiasi cosa, eppure è davvero così felice?
«Di più, sono orgoglioso di essere italiano dopo la gara del San Paolo.
Noi emigranti siamo fatti così. Per troppo tempo siamo stati succubi del
calcio anglosassone, ora stiamo mettendo a posto le cose. Gli azzurri
al San Paolo hanno giocato senza sudditanza, con un’interpretazione
corale meravigliosa. Il Napoli non è solo il Pocho e Cavani».
Cos’altro le è piaciuto?
«Lo spirito agonistico. Che è poi quello del suo allenatore che ricordo
fin dai banchi di Coverciano. Il Napoli non si è mai arreso e anche
quando ha incassato il gol si è subito rimesso in piedi. Roba da grandi,
in quei casi si rischia anche di mollare tutto e di lasciarsi andare.
Il calcio italiano ha dimostrato di non meritare i giudizi severi che ha
ricevuto. E ora nel Napoli trova una delle espressioni migliori».
Il lato oscuro della faccenda è il campionato?
«Il dispendio nervoso della Champions è enorme, non è facile ricaricare
le batterie. Il terzo posto non è impossibile ma a patto che il Napoli
cominci a vincere sprecando meno energie. Come faceva la mia Inter nel
1989».
Lei si affida all’ampolla con l’acqua benedetta donata da sua
sorella, suor Romilde, mentre Mazzarri ai santini del sottoscala del San
Paolo…
«Spero che non sia per scaramanzia. Io sono un credente, praticante.
Prego e mi affido a Dio non per vincere una partita o per far segnare un
mio giocatore: prego contro l’invidia e la cattiveria delle persone. Mi
auguro che anche il tecnico azzurro lo faccia con questo spirito».
Quel gol di Mata ha rovinato un po’ la festa?
«Purtroppo è così. Lo svarione di Cannavaro lascia ancora aperto il
discorso qualificazione. Ma il Chelsea allo Stamford Bridge si può
contenere facilmente: non gioca mai con stravolgente pressione. E poi
per loro sarebbe un errore sbilanciarsi troppo: lascerebbero degli spazi
enormi su cui Lavezzi potrebbe scatenarsi».
Ho la sensazione che sia l’argentino il suo napoletano preferito?
«Non lo conosco personalmente ma sul piano nervoso ha una marcia in più.
Io me ne intendo e lo vedo. Emotivamente, al di là delle doti tecniche,
ha lo spessore del leader».
La sua prossima sfida è l’Europeo?
«Con l’Eire abbiamo parlato della vittoria della Grecia nel 2004, e
allora perché non pensare di fare lo stesso? Non voglio creare
illusioni, ma dico: voglio arrivare almeno ai quarti. Il che significa
eliminare o Italia o Spagna. Sarebbe un’impresa enorme».
Trapattoni, senza pubblicità: ma dopo Mazzarri allenerebbe il Napoli?
«Alla fine del contratto con la federazione irlandese, dopo i Mondiali
in Brasile, avrò 75 anni. Potevo farlo da giovane ma mi ha sempre un po’
spaventato la passione di quella città. Altrimenti avrei detto di sì
prima a Fiore e poi a Ferlaino».
Fonte:Il Mattino
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