martedì 15 novembre 2011

Da Italia–Uruguay, al perchè il Pocho segna così poco

Avevo 10 anni. Il calore di luglio del 1990 non è paragonabile a quello di oggi. Uno splendido campeggio di Fondi ci ospitava; la semifinale Italia–Argentina, cornice di un San Paolo poco lontano. Noi bimbi durante l'inno, ci sentimmo italiani, ma col passare dei minuti fummo trascinati, così come il camping; ci si divise tra romani guidati dall'inno di Mameli e napoletani guidati dall'inno di Diego. All'errore di Aldo Serena, non seppi che fare, un bimbo necessita di guide spirituali; l'esultanza di molti campani mi trascinò convinto e mi travolse per sempre.
E' novembre, ho perso il conto. Un giorno qualunque, ci appioppano un'Italia–Uruguay, con un Balotelli che con certi gesti irritanti, da superiore, cattivi e minacciosi, mi fa sentire poco italiano. La partita l'ho vista, sono sincero. Ho studiato la posizione di Maggio, i suoi quasi goal, e quella di Cavani, e il suo quasi autogoal. Ma poi nient'altro.
Mi sono risentito diviso a metà, ho rammentato le mie origini e i miei ricordi. Cavani l'ho sentito molto vicino, Chiellini no. E tutto sommato un calcio a fine partita merita una sconfitta.
Tutto perfetto, avrei voluto Lavezzi uruguaiano o Ramirez napoletano, per renderla veramente una serata divina. Sarò fuori, di testa. L'umanità di Ezequiel è fuori discussione, gli studi sulla sua cordinazione mi sembrano astuti e interessanti. Indiscutibili i suoi non eccelsi mezzi tecnici, ma le follie sul fatto che lui riesca da piegato a diventare un cecchino infallibile, mi sembrano una versione alterata di Quark senza gli Angela. E' impreciso, si avvicina troppo al pallone e con troppa velocità, ma questa è anche la sua immensa forza. Nel San Lorenzo segnava poco, ma segnava in qualsiasi modo. Il chinarsi è un modo per ridurre quella velocità inappropriata; il problema è nel calo di ritmo. A basso regime, sotto porta, dinanzi alla concretezza realizzativa, sembra Fred Astaire, ma non per limiti tecnici, per emotività. In questo si spiega anche l'ancor ridotto numero di reti dinanzi al suo pubblico. Quando ragiona, diventa un bimbo cosciente; quando corre, torna il pazzo devastante; ma io non posso che proporne l'incoronamento.
E' il Napoli di De Laurentis. Basta parlare d'Italia, sto a ruota di Napoli; altre metafore, non le ho trovate.
Domenico Serra.
Fonte:Areanapoli

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